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FESTIVAL INTERAZIONI
OSSERVATORIO
CIRCOLO J. MARITAIN

FESTIVAL INTERAZIONI EDIZIONI PASSATE:

osservatorio per la ricerca sociale:

Progetto senza titolo(23)

Il progetto

La prima finalità del lavoro dell’osservatorio è la produzione, oltre al necessario monitoraggio, di conoscenza qualitativa delle aree marginali: conoscenza degli stili di vita, delle aspettative, delle culture. Una conoscenza in grado di cogliere sia i comportamenti che gli atteggiamenti dei soggetti che compongono queste aree. Punto di riferimento è il mutamento della società riminese e la relazione con la condizione di povertà. Un mutamento che ha cambiato questa realtà sia in termini di composizione sociale, con riferimento ai nuovi immigrati (quindi novità sia quantitative che qualitative), sia in termini di modificazione delle relazioni presenti al suo interno (quindi novità sostanzialmente qualitative). Il mutamento sociale ha reso il territorio riminese una zona di frontiera dove si stanno realizzando esperienze sociali che, forse, non hanno eguali nell’intero paese.

 

I settori di lavoro dell’osservatorio, al fine di indicare quali sono le aree interessate a questi mutamenti e sulle quali già è stato avviato un lavoro di ricerca, si possono elencare come segue:
> Gli orientamenti presenti in alcune fasce della popolazione anziana, in particolare quelle che non sono in relazione con i servizi.
> Le trasformazioni avvenute (ed in corso) che interessano aree marginali del mondo giovanile.
> Il rilievo sociale e culturale della popolazione detenuta nella casa circondariale, di coloro che utilizzano misure alternative alla detenzione e degli ex detenuti.

> La diffusione, la condizione e la situazione delle donne capofamiglia con figli.
> Lo stato sociale, culturale e giuridico delle comunità immigrate.

> La condizione e le relazioni sociali delle persone portatrici di handicap e delle loro famiglie.
> La situazione, la composizione e le caratteristiche delle popolazioni rom e sinti.
> La presenza delle persone senza dimora in relazione alle condizioni di vita, alle aspettative e alle prospettive.
> La condizione dei tossicodipendenti, gli stili di vita e la diffusione del fenomeno della
tossicodipendenza.

> La condizione delle prostitute e la diffusione della prostituzione.

 

In sintesi, all’interno di queste aree i compiti dell’osservatorio sono:
– determinare la popolazione di riferimento; definire le situazioni a rischio;
– offrire elementi di conoscenza in grado di orientare gli interventi dei servizi;
– studiare gli elementi che le caratterizzano come portatrici di culture altre.

 

Su quest’ultimo punto occorre precisare che il riferimento a culture altre non è solo rivolto a comunità immigrate ma anche a tutta l’area delle sub-culture che non sono integrate nella cultura dominante (alcune aree giovanili, particolari aree composte da anziani, specifiche situazioni di disagio sociale). Quindi aree sociali che possono essere interessate, più di altre, da fenomeni di povertà, di povertà estrema, spesso non riconosciute dai servizi, sia perché essi agiscono su domanda, sia perché queste povertà non si manifestano nei modi tradizionali, sia perché non sono intercettabili da politiche sociali standardizzate e che per tutto questo (ma non solo) potremmo definire aree di povertà silenziosa. La definizione di queste aree non vuol significare l’assunzione di categorie definite entro le quali collocare le forme di povertà estrema, ma solo una prima indicazione di lavoro, consapevoli che queste forme di povertà nelle società complesse sono riconducibili solo a percorsi individuali non riferibili a categorie esclusive.

Le finalità

1. La prima funzione dell’osservatorio è quindi la conoscenza della realtà sociale al fine di orientare la progettualità ad essa rivolta. L’osservatorio offre un servizio alle istituzioni, enti e, in particolare, alle associazioni con le quali ha già avviato feconde relazioni. Inoltre, mutuando l’esperienza in campo urbanistico, i progetti formulati debbono essere sottoposti ad una sorta di valutazione d’impatto sociale in grado di misurare, sulla base di opportuni indicatori, il livello qualitativo e quantitativo della loro influenza sui soggetti interessati e sul contesto sociale. Alla valutazione iniziale occorre far seguire, durante la loro realizzazione, processi valutativi in itinere che possano riorientarne l’implementazione. Infine, i risultati degli interventi sociali debbono essere valutati in rapporto agli effetti prodotti, non tanto per assegnare punteggi di risultato ma, soprattutto, al fine di diffondere le esperienze realizzate, sotto tutti gli aspetti, siano essi positivi o negativi. Gli interventi sociali, soprattutto in una realtà profondamente cambiata e in continuo mutamento, mal si prestano a giudizi definitivi, richiedono invece molta sperimentazione, ma questa, necessariamente, deve essere accompagnata da processi valutativi.


2. Una seconda finalità dell’osservatorio è quindi quella di fare ricerca valutativa, sulla base di opportuni indicatori condivisi dal mondo scientifico. Assumendo anche i parametri dell‘efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dei progetti, degli interventi e dei risultati, rapportati alle scienze sociali. In rapporto a questa seconda finalità i referenti dell’osservatorio sono:
> tutti coloro che si propongono la formulazione di progetti d’intervento sociale;
> coloro che i progetti li finanziano o concorrono al loro finanziamento;
> coloro che i progetti li realizzano;
> coloro che rispondono dei risultati prodotti nel corpo sociale dalla realizzazione dei progetti.

Anche con riferimento a questa seconda finalità i referenti dell’osservatorio sono quindi le istituzioni, gli enti e le associazioni che operano in campo sociale. Ognuno con proprie motivazioni o con sensibilità maggiori sull’uno o sull’altro aspetto: sulla credibilità dei progetti, sulla produttività della loro realizzazione, sulla incisività dei risultati, sul costo finanziario.
L’osservatorio, oltre ad offrire un servizio ad enti, istituzioni ed associazioni agisce in piena autonomia, ciò al fine di poter operare al di fuori da condizionamenti che non siano di carattere meramente scientifico, legati cioè al merito e al metodo della ricerca.
L’Osservatorio per la Ricerca Sociale permanente nella provincia di Rimini opera all’interno dell’Istituto di Scienze dell’Uomo, un’associazione “storica” del riminese.


3. La terza finalità del progetto dell’osservatorio consiste nell’offrire ai suoi referenti una bibliografia completa ed aggiornata dei testi di approfondimento sulle tematiche oggetto delle ricerche sociali, predisponendo, inoltre, una biblioteca specializzata presso l’Istituto di Scienze dell’Uomo, ed arricchendo, sotto questo aspetto, una funzione già in essere dell’Istituto.


4. La quarta finalità dell’osservatorio riguarda la predisposizione di un servizio d’informazione, tramite la costruzione di collegamenti internet, in merito ai siti di associazioni sociali, enti ed istituzioni che possono supportare l’elaborazione di progetti, l’accesso a finanziamenti ed ogni azione finalizzata all’intervento sociale rivolta alle aree marginali della società.
Il progetto, infine, si propone l’obiettivo di contribuire alla costruzione di una rete di osservatori
provinciali su scala regionale e, possibilmente, sull’intero territorio nazionale.

Settori e progetti realizzati

Progetto per una ricerca sociale sulle associazioni di volontariato della provincia di
Rimini che operano nel settore socio-assistenziale

Il progetto nasce dalla necessità di approfondire la conoscenza delle organizzazioni di
volontariato, in particolare quelle che operano nell’ambito socio-assistenziale per le peculiari funzioni da queste esercitate.
La presente ricerca è parte di un progetto più generale svolto in tre fasi. La prima fase,
realizzata direttamente dal Centro di servizio,  comprendeva la pubblicazione della “Guida alle associazioni di volontariato della provincia di Rimini” e la seconda l’indagine sulle persone senza dimora, pubblicata su queste stesse pagine. La terza fase è rappresentata dalla presente ricerca.
Lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore che negli anni ottanta era già in corso ha
subito una accelerazione vistosissima sul finire del decennio scorso quando i segnali della crisi fiscale ed economica dello stato si sono fatti più manifesti ed i primi provvedimenti di riordino dei conti pubblici (tagli di spesa, blocco delle assunzioni, ecc.) hanno costretto gli enti pubblici ad accettare la logica della privatizzazione dei servizi sociali e socio- assistenziali. In questo quadro generale si sono ulteriormente affermate le organizzazioni di volontariato. Un’affermazione accompagnata dal dibattito sulla sussidiarietà e dai provvedimenti normativi contestuali. Dibattito e produzione normativa ancora in essere che stanno accentuando le tensioni attorno a questo mondo composito. L’espansione di questo settore, inoltre, ha trovato alimento nei nuovi processi di estensione delle povertà che  appaiono non più (o almeno non solo) il prodotto dell’arretratezza economica ma che accompagnano la diffusione del benessere economico e sociale e ne sono, forse, l’ineluttabile prodotto. Accanto a queste motivazioni occorre inserire la crescita del mondo del volontariato anche all’interno di una riflessione più ampia e complessiva, fondata sui nuovi modi di sviluppo dell’azione sociale. Si va manifestando, infatti, un’incerta ma sempre più estesa esigenza da parte dei soggetti, uomini, donne, giovani e anziani, di trovare nuove forme e manifestazioni per rientrare in possesso della propria capacità di vivere il presente e, ove possibile, di progettare il futuro, ricercando nella relazione con altri soggetti il senso della propria vita personale, la costruzione di nuove modalità e modelli di vita e di partecipazione collettiva, la costruzione della propria identità lavorativa e sociale.
Questi fenomeni generali investono anche la realtà associativa presente nella provincia di
Rimini, caratterizzata da una diffusa presenza di gruppi che operano in campo socio-assistenziale. Una realtà  formata da soggetti organizzativamente allo stato nascente, altri ben consolidati, altri che rifiutano forme organizzative, altri ancora che si sono dati organizzazioni strutturate di rilievo e diffusione nazionale, internazionale, e anche vere  forme di reti interorganizzative. Strutture con codici culturali differenti, con ambiti e modalità di intervento non omologabili, con una diversificata attenzione al mercato ed al rapporto con le strutture pubbliche, unite, tuttavia, dalla comune finalità di costruire nuove forme di benessere sociale, di operare per il cambiamento e l’innovazione della qualità sociale.
Ecco, tutto questo qui esposto in termini generali la ricerca si proponeva di analizzare ed approfondire. Con la consapevolezza che nessun gruppo di volontari è identico ad un altro  e che, quindi, la stessa definizione di volontariato non rappresenta, in realtà, che un’astrazione dalla quale partire per sviluppare la ricerca empirica e definire, in questo modo, il variegato mondo del volontariato riminese che opera in ambito socio-assistenziale. Una consapevolezza che rende coscienti della forzatura implicita nella realizzazione di una indagine che oggettivamente opera per generalizzazioni. Conoscenza delle associazioni riferita alla dimensione e diffusione del fenomeno associativo, assetto giuridico, strutture  organizzative, valori di riferimento, attività associativa, utenti di riferimento, tipologie  d’intervento e dei servizi attivati, rapporto con gli enti pubblici, lavoro di rete, disponibilità  finanziarie, fonti di finanziamento, profilo dei dirigenti, metodologie d’intervento e  rendicontazione dei risultati: in altre parole, sinteticamente, indagine sugli aspetti specifici delle associazione che possono definirne le caratteristiche. Osservazione sulle  organizzazioni di volontariato e sui volontari per limitare la marginalizzazione del  volontariato ad opera del terzo settore specializzato, professionalizzato e retribuito, e  valorizzare, invece, la presenza del gratuito, il valore del dono. Affinché esso non sia strumentalizzato al fine della massimizzazione dell’efficienza gestionale e organizzativa o escluso perché giudicato non funzionale rispetto alle esigenze del mercato nel campo  della produzione sociale riducendosi, con queste sollecitazioni, verso aggregazioni sociali
prevalentemente autoreferenziali. Contemporaneamente, la scelta di delimitare l’area di ricerca al solo ambito socio-assistenziale deriva dalla necessità di focalizzare l’attenzione su quell’area del volontariato che ha fatto della solidarietà il terreno privilegiato di azione. Più esposto alla relazione con lo stato e con il mercato e, nello stesso tempo, più esposto alla domanda di socialità e ai bisogni prodotti dallo sviluppo sociale.
I risultati del lavoro svolto vogliono essere un contributo alla riflessione sul ruolo del volontariato, una riflessione presente nel volontariato riminese; uno strumento di  conoscenza per il Centro di servizio per il volontariato per l’esercizio delle sue funzioni; un intervento a sostegno della valorizzazione del lavoro volontario e dei valori che ne  sorreggono l’azione; uno strumento di conoscenza a disposizione delle pubbliche istituzioni per il ruolo da queste svolto nel confronto con le organizzazioni di volontariato.

Progetto per la realizzazione di un seminario sulle politiche abitative rivolte agli immigrati
L’immigrazione non rappresenta la parte più povera della popolazione ma, semmai, la parte più esposta ai rischi di marginalizzazione per effetto dei fattori di esclusione prodotti dalla società di accoglienza. In questo contesto la casa rappresenta un elemento fondamentale del processo d’inserimento sociale che coinvolge gli immigrati. L’inserimento sociale, che trova nei ricongiungimenti familiari uno dei maggiori veicoli, rende possibile il percorso di stabilizzazione sul territorio riminese e consente la valorizzazione degli immigrati.
L’universo degli immigrati non può essere visto come un insieme indifferenziato ed  omogeneo dal punto di vista dei comportamenti, dei bisogni e delle attese. Quindi anche la loro condizione abitativa appare differenziata secondo differenti forme di alloggio. Accanto a percorsi d’immigrazione che investono in relazioni sociali ed economiche sul territorio,  tendenti quindi a stabilizzare la permanenza, sono presenti coloro che, seguendo specifiche scelte migratorie, risiedono in Italia per un periodo temporale limitato, per lavori stagionali  legati al turismo, alle attività agricole o all’assistenza domiciliare. Accomuna quest’ultima “categoria” di immigrati la volontà di ritornare nel paese d’origine terminato il periodo di  lavoro ed il conseguente adattamento a condizioni abitative disagiate, sopportate pur di  ottenere il massimo guadagno dal lavoro nel più breve tempo possibile. Per lo più si tratta di
persone singole scarsamente disposte ad investire in un alloggio. Al contempo è presente una componente variamente articolata al suo interno che si rivolge al mercato dell’affitto o della proprietà. In questi casi siamo in presenza di segnali di avvenuto inserimento o  comunque di una “normalità” di percorsi abitativi.
All’interno di tutti questi percorsi si collocano coloro che per le particolari condizioni sociali
hanno seguito le vie assistenziali per la soluzione del problema. Accanto a questi troviamo
coloro che sono in grado di risolvere il problema della casa con proprie risorse.
Il principale dato strutturale che sta dietro alle difficoltà vissute dagli immigrati riguarda la
ristrettezza del mercato dell’affitto accessibile. È su questa base che poi si manifestano forti
elementi di disagio nelle soluzioni abitative adottate: precarietà per quanto riguarda il tipo di
rapporto, canoni sproporzionati, condizioni abitative degradate, sovraffollamento, ecc..
All’ostacolo costituito dalla modesta capacità economica dell’affittuario si aggiunge poi  quello della resistenza di molti proprietari ad affittare ad immigrati. Questo comportamento dei proprietari ha un significato che trascende la mera dimensione economica: pagare un prezzo più alto per alloggi di qualità analoga, quando non inferiore, costituisce un indicatore di pratiche in qualche modo discriminatorie nei confronti di una componente della  popolazione, al di là dei sentimenti di sostanziale accoglienza ed anche di solidarietà  rintracciabili presso le popolazioni locali.
Il fenomeno riguarda in particolare il mercato dell’affitto, ma proprio questo mercato presenta oggi tutte le condizioni perché una qualche discriminazione nei confronti degli  immigrati possa essere praticata. Pratiche di speculazione da parte dei proprietari di alloggi possono facilmente incontrare le convenienze degli immigrati: la disponibilità alla  coabitazione, suggerita dalla solidarietà etnica e amicale, ma anche dalla necessità di  abbassare i costi e dall’interesse ad accantonare quote di reddito da destinare nei paesi d’origine. Possono altresì darsi casi, in questo incontrando di nuovo le convenienze degli immigrati, di messa in circolo di alloggi fuori mercato, di edifici non più destinabili alle esigenze della popolazione locale. Inoltre occorre considerare, e a questo proposito le cronache ci aggiornano quotidianamente, l’esistenza di una parte di sistemazioni in affitto inserita in quel composito settore informale o semi-informale dove agli elementi di disagio si aggiungono i costi della irregolarità che caratterizza questi mercati.
Nel quadro generale della provincia di Rimini, contrassegnato da un crescente fabbisogno
abitativo, appare oltremodo necessario segnalare la presenza di comportamenti di mutuo aiuto tra gli immigrati, sia di carattere individuale che nelle forme organizzate  dell’associazionismo, come terreno possibile di azione che può esprimersi nelle forme  dell’auto-organizzazione su base di mutualità e solidarismo.
La presenza consolidata sul territorio provinciale delle organizzazioni degli immigrati, il loro
coordinamento, fino alla loro presenza nelle istituzioni, può rappresentare una risorsa  notevole sulla quale investire e della quale tener conto. Con questa presenza è possibile  avviare una riflessione sulle soluzioni abitative che non può che essere propedeutica alla definizione dei contenuti delle politiche abitative rivolte agli immigrati. Nella consapevolezza che le soluzioni non sono esclusivamente riconducibili a volumetrie da costruire ma che, pur non ignorando quanto può rappresentare il capitolo delle nuove
costruzioni, trovano nel sistema delle relazioni sociali lo snodo essenziale sul quale agire,
consapevoli che si tratta di assecondare e valorizzare i modelli socio-culturali degli  immigrati, le loro forme di auto-organizzazione e di mutuo aiuto.
Nel quadro sommariamente delineato appare evidente come le politiche abitative debbano
comprendere soluzioni diverse, non necessariamente legate alle fasi che  contraddistinguono i processi di immigrazione ma, invece, collegate alle diverse strategie migratorie e alle diverse tipologie di domanda che provengono dagli immigrati. Potremmo indicare alcune soluzioni abitative nei seguenti modelli:
– soluzioni temporanee, che possono comprendere al loro interno la prima accoglienza in
strutture di “emergenza”,   negli alberghi, nei residence;
– soluzioni all’interno di percorsi di “normalità” che possono comprendere l’edilizia residenziale pubblica (ERP) e il   mercato privato dell’affitto;
– soluzioni rivolte alla proprietà dell’alloggio.

Avendo presente il quadro generale e le diverse soluzioni abbozzate sono stati individuati i temi posti al centro del seminario che vuole produrre informazione e, contemporaneamente, la formazione di soggetti in grado di essere protagonisti  nell’individuare soluzioni abitative che possano condizionare le politiche abitative. Quindi informazione e formazione per favorire, attraverso le necessarie sollecitazioni, la nascita di nuove sensibilità nelle organizzazioni degli immigrati, principali protagonisti dei processi di inserimento sociale. Sensibilità orientate verso tutte le possibili soluzioni.

“I colori delle donne”: un progetto per la realizzazione di una ricerca sociale sul lavoro delle donne immigrate nella provincia di Rimini
La ricerca è stata realizzata in collaborazione con diverse associazioni di immigrate e, nella
sua realizzazione, questa particolarità rappresenta una notevole ricchezza per tutta la parte
relativa alla definizione degli obiettivi ed ai contenuti degli strumenti di rilevazione. Inoltre,
sempre da questo punto di vista, occorre sottolineare che i questionari sono stati somministrati dalle donne immigrate appartenenti alle associazioni.
È stato assunto il tema del lavoro come guida dell’indagine in quanto esso ha una relazione diretta con il reperimento delle risorse economiche e coinvolge, allo stesso tempo, la sfera delle relazioni sociali, il grado di autonomia individuale, la costruzione della propria  autostima e tutto quanto in qualche modo è condizionato, in positivo e in negativo, dal – o dall’assenza del – lavoro. Il lavoro, quindi, non è visto solo nella sua accezione economica ma anche nella sua  valenza di veicolo di relazioni sociali.

 

Sono state formulate diverse ipotesi che hanno orientato la ricerca.
In primo luogo per quanto riguarda la distinzione tra immigrate in regola con il permesso di soggiorno e senza permesso: la nostra ipotesi afferma che non vi sia differenza sostanziale
per quanto riguarda il lavoro tra straniere in regola e non e che le sole differenze presenti siano in realtà indotte dalla particolare collocazione giuridica. Imponendo in questo modo una differenziazione laddove, invece, è presente omogeneità, con tutto ciò che ne  consegue dal punto di vista della vita delle persone e dei loro comportamenti.
Inoltre sosteniamo che le straniere presenti nella provincia di Rimini siano impegnate principalmente nel lavoro di cura della famiglia, anziani o bambini che siano, e nei servizi
domestici. Che si sia formata, insomma, una sorta di “specializzazione” professionale, quasi
come se nei loro confronti fosse in atto una “doppia discriminazione”, come donne e come
immigrate. Una specializzazione, quella del lavoro domestico, che è contrassegnata  dall’estrema precarietà, ulteriormente accentuata quando quest’attività è svolta da  straniere.
Inoltre, quando le straniere non sono in regola con il permesso di soggiorno, costrette nell’illegalità, questa precarietà si può trasformare in un vero e proprio lavoro servile.
Infine, sempre per quanto riguarda le ipotesi da sottoporre a verifica, sosteniamo che quella
che abbiamo chiamato “specializzazione” professionale possa essere il prodotto di una  sorta di segregazione occupazionale che può determinarsi quando la presenza di diffuse  reti etniche si associa ad una chiusura verso la comunità ospitante.

 

Per quanto riguarda la metodologia e le tecniche adottate:
Il percorso di ricerca è stato avviato nell’aprile 2004 con la ricerca di sfondo,  articolata in diverse fasi: dalla costruzione della bibliografia di riferimento, alle interviste a testimoni qualificati, alla definizione del campo di ricerca fino alla formulazione delle ipotesi generali. Successivamente sono stati affrontati i problemi relativi alla numerosità campionaria ed alla formulazione dei diversi campioni statistici, contestualmente alla scelta dello strumento di
rilevazione (il questionario) ed alle modalità di somministrazione.

La fase di somministrazione del questionario è stata realizzata dalla fine del mese di  dicembre 2004 all’inizio del mese di aprile 2005, quindi in un periodo non “inquinato” dalla presenza del lavoro stagionale, così massicciamente diffuso nella provincia di Rimini.

A questa fase è seguita la codifica e la elaborazione dei questionari e successivamente la stesura del rapporto di ricerca.

Abbiamo delimitato la presente indagine, dal punto di vista spaziale, al territorio della provincia di Rimini,nel senso che la ricerca sul campo si è svolta operativamente in  quest’area e che la popolazione a cui ci riferiamo è in essa domiciliata.
Per quanto riguarda l’universo di riferimento esso è stato circoscritto alle donne straniere  titolari di permesso di soggiorno, presenti sul territorio provinciale. Questa scelta ha  facilitato la determinazione della numerosità della popolazione oggetto della ricerca, in quanto rientrano in questa classificazione tutte le donne immigrate con almeno quattordici anni, dando per scontato che prima di questa età il rapporto con il lavoro sia un dato eccezionale. Inoltre, per quanto riguarda l’appartenenza nazionale delle donne escluse dall’universo di riferimento, abbiamo adottato un criterio per così dire di senso comune, in qualche modo legato alla suddivisione dei paesi di provenienza sulla base del loro sviluppo economico. Tale scelta tiene conto anche della diversa considerazione politico-giuridica assegnata agli appartenenti alle diverse nazioni. Per capirci, lo status di un cittadino di nazionalità sammarinese o svizzera, oppure giapponese o, ancora, statunitense, è solo formalmente “extracomunitario” e non può certo essere assimilato a quello di un cittadino marocchino, colombiano o ucraino.
Complessivamente, per quanto riguarda le straniere titolari di permesso di soggiorno, l’universo di riferimento è composto da 6.809 donne.
Accanto a queste, sulla base delle ipotesi di ricerca e della particolare metodologia  adottata nella rilevazione, a conclusione dell’indagine abbiamo stimato la presenza di 4.193 donne straniere non in regola con il permesso di soggiorno.
Su questa popolazione complessiva abbiamo realizzato la ricerca, avendo come obiettivo generale la conoscenza delle caratteristiche generali e come finalità particolare l’analisi  delle condizioni occupazionali collocate nel contesto delle relazioni sociali.

Indagine statistica sulla percezione delle attività di volontariato nella Provincia di Rimini
Il Centro di servizio per il volontariato della provincia di Rimini si è posto il problema di conoscere, attraverso una rilevazione statistica, quale percezione ha la popolazione  riminese delle attività di volontariato. La presente indagine, realizzata dall’Osservatorio per la ricerca sociale dell’Istituto di Scienze dell’Uomo, analizza quindi la diffusione dell’impegno diretto in tali attività, i valori che ad esse sono associati, la conoscenza del volontariato e  delle sue forme organizzative, i canali di informazione attraverso i quali tale conoscenza si  afferma e le potenzialità relative alla diffusione del volontariato.
Si è scelto di individuare nella popolazione con età compresa tra i diciotto e i trentacinque anni l’universo di riferimento, ciò in considerazione delle difficoltà che il volontariato incontra nel radicarsi in questa fascia d’età. Una difficoltà emersa dalle più recenti ricerche prodotte a livello locale e anche da quanto rilevato dalle indagini nazionali. La popolazione è   rappresentata da 55.957 persone nate tra il 1969 e il 1986, iscritte nelle liste elettorali,  aggiornate almeno al gennaio 2004, dei venti comuni della provincia di Rimini, suddivise in 28.350 maschi e 27.607 femmine. Il campionamento statistico ha tenuto conto della  dimensione provinciale, con il relativo campione, della suddivisione del territorio provinciale in aree geografiche, costruendo, da quest’ultimo punto di vista, sei campioni statistici  rappresentativi di quattro aree costiere e due dell’entroterra.

Il presente progetto di ricerca sociale si rivolge alla popolazione senza dimora

In via provvisoria (provvisoria in quanto alla fine della ricerca dovrebbe emergere una  definizione più corrispondente alla realtà) definiamo persone senza dimora, quindi la popolazione di riferimento del progetto di ricerca, quei soggetti che avendo o non avendo una residenza anagrafica presso un comune in esso hanno posto il loro domicilio prevalente nel corso dell’anno ed hanno o non hanno la proprietà o la disponibilità di un’abitazione. Non è rilevante la presenza o l’assenza di un’occupazione stabile o precaria; l’utilizzo o il non utilizzo dei servizi di assistenza: ciò che discrimina è il mancato uso di una dimora  stabile (in questo caso dimora intesa come un’abitazione, un tetto per la notte). Oltre a ciò, dal punto di vista della condizione materiale, ciò che discrimina è la condizione di vita  vissuta ai margini della società sia in termini di relazioni sociali che di uso dello spazio e la condizione di degrado fisico/psichico che ne connota l’esistenza.
Nella presente considerazione senza dimora vengono quindi definiti coloro che hanno  perduto nel corso del tempo i legami sociali significativi (parentali, amicali, professionali), in precarie condizioni materiali di esistenza e che hanno abbandonato l’uso prevalente  dell’abitazione, qui intesa come luogo fisico delle relazioni sociali intrafamigliari, come  confine di un’appartenenza dalla quale intraprendere relazioni sociali.

Quanti sono, chi sono e dove sono: a queste domande il progetto tenterà di rispondere. Cercando di definirne il  numero approssimativo, primo passaggio necessario per cogliere la dimensione del fenomeno, con la consapevolezza che il territorio considerato è un territorio di frontiera, quindi soggetto a continue trasformazioni sociali: quantitative (valga come  esempio eclatante l’aumento della popolazione estiva) e qualitative (anche indotte dai messaggi culturali che provengono da questo territorio). La ricerca si pone l’obiettivo di  approfondire l’analisi sulle ragioni che sottostanno alla condizione di senza dimora, quali  percorsi di vita hanno prodotto questa condizione, il livello della condizione intesa come fase di un percorso di povertà che può essere di progressiva degradazione sociale, quindi in graduale ed inarrestabile caduta, o di tendenziale fuoriuscita dalla condizione di senza  dimora. Ricercando le risorse personali presenti sulle quali investire per una possibile risalita. Approfondendo i tratti comuni che forse “uniscono” le persone in questa condizione. Tutto ciò come strumento di conoscenza al servizio, in primo luogo, di politiche sociali  adeguate ad affrontare un fenomeno che è intrinseco all’attuale società, ne è il prodotto  (forse) ineluttabile, e può interessare (potenzialmente) ogni figura sociale.
Questi obiettivi della ricerca nascono dalla consapevolezza che una parte della società,  anche quando è visibile, è sconosciuta, o conosciuta solo in parte, ai componenti della  maggioranza della società ed in particolare a chi decide dell’agenda politica e delle sue priorità. Quella parte di società sulla quale viene concentrata l’attenzione raccoglie alcuni tra gli ultimi della scala sociale. Una posizione condizionata dai processi sociali nei quali  questa parte, composta da soggetti con diversi percorsi di vita, si è trovata coinvolta. A  questi ultimi, alle loro storie di vita, alle loro esperienze sociali, alle rotture biografiche che ne hanno segnato l’esistenza e determinato l’attuale condizione, è rivolto il progetto di ricerca. Consapevoli che non si tratta (solo) di costruire tipologie identificative ma di cogliere le pluralità. Legato a quest’ultimo aspetto si colloca anche la distribuzione spaziale dei  servizi rivolti alle persone senza dimora presenti nella provincia: servizi che agiscono, per così dire, dal punto di vista fisico, sia in forma statica e/o dinamica. A questi, ai servizi, dovrà essere riservata una parte (non centrale) della ricerca al fine di monitorarne le attività. Con i servizi, siano essi gestiti da enti pubblici o da associazioni di volontariato, il gruppo di ricerca dovrà necessariamente relazionarsi, costruendo, nel corso della ricerca stessa, una rete in grado di rappresentare, allo stesso tempo, fonte e destinazione del lavoro qui progettualmente esposto, ciò vale in particolare in rapporto alle associazioni di volontariato.
E alle associazioni, agli enti ed alle istituzioni pubbliche sono quindi rivolti i risultati della ricerca al fine di orientarne gli interventi e di offrire ad essi nuovi elementi di conoscenza. I  risultati vengono posti, inoltre, al servizio di nuove progettualità, avendo, il progetto di  ricerca, anche la speranza che una maggiore conoscenza possa stimolare nuove  soggettività in campo sociale, nell’ambito dei principi di tolleranza dell’altro da sé e della  solidarietà che sono alla base dell’idea che supporta il presente progetto.
Dal punto di vista metodologico si tratta in primo luogo di raccogliere gli elementi di  conoscenza già prodotti sul tema nell’ambito del territorio provinciale, in accordo, in  particolare, con le associazioni che hanno realizzato e/o stanno realizzando interventi  sociali nei confronti della popolazione oggetto di studio.
A questo primo quadro seguirà l’intervento diretto sul campo seguendo i principi dell’integrazione metodologica sia sul versante delle tecniche di ricerca che dal punto di  vista delle discipline scientifiche necessarie per la comprensione dei fenomeni sociali oggetto di studio, con la consapevolezza che il risultato della ricerca non sarà in ogni caso “La Verità” ma, anche per la metodologia utilizzata, un contributo, verificabile, verso la conoscenza.
I dati prodotti dalla ricerca sul campo saranno sottoposti ad una lettura in grado di  comprendere i percorsi di vita delle persone oggetto di studio e, come sopra accennato,  sarà necessario avvalersi delle diverse discipline sociali.
I tempi della ricerca si prevede possano svilupparsi nel periodo fine 2001 (autunno/inverno)
inizio 2002 (inverno/primavera), Questo periodo è scelto al fine di realizzare una ricerca  rivolta alle persone senza dimora che, in qualche modo, sono radicate nel territorio della  provincia di Rimini. C’è, in ogni caso, piena consapevolezza della relatività del termine  radicamento, ma una ricerca che si svolgesse nel periodo estivo, senza alle spalle un primo studio sulla popolazione stabile, difficilmente potrebbe svilupparsi con piena credibilità se si considerano i tratti peculiari della realtà sociale riminese connotata da un forte processo  attrattivo che si sviluppa, ovviamente, anche nei confronti delle persone senza dimora.
La ricerca è realizzata dal gruppo di lavoro dell’Osservatorio per la Ricerca Sociale  dell’Istituto di Scienze dell’Uomo. Il gruppo di lavoro è composto da Giuseppe Fabbri,  coordinatore e responsabile del progetto, Matteo Magalotti, Elena Zamagni e Cristiana  Facondini. Il gruppo così costituito, nel corso dell’indagine, è stato integrato da Fabio Cenci. La realizzazione del presente progetto è stata avviata nel settembre 2001. Nei primi giorni del gennaio 2002 è stato prodotto il primo resoconto sullo stato della ricerca.

Bibliografia

GENERALE

detenuti

immigrazione

senza dimora

rom e sinti

volontariato

case editrici

L’oggetto e il simbolo.

Il sufismo raccontato da Gabriel Mandel

24 novembre 2007 – 6 gennaio 2008

Museo degli Sguardi Via delle Grazie, 12 • Covignano di Rimini

Con Gabriel Mandel, lo sguardo si orienta sul Sufismo. I Sufi sono i mistici dell’Islam, organizzati in confraternite tradizionali, a cui si deve, già in epoca medievale, la fondazione delle prime università, dei primi ospedali e dei primi manicomi.
Ai Sufi si deve anche la scrittura di importanti trattati di psicoanalisi, di medicina, di astronomia ed in particolare opere musicali. Tutti questi interessi variegati in quanto i Sufi hanno dieci obblighi tra cui lo studio e viaggiare. Gabriel Mandel Khàn, curatore di questa interessante e suggestiva mostra storica, è il Vicario Generale per l’Italia della Confraternita sufi Jerrah-Halveti e si è occupato a lungo dell’arte e della civiltà orientale e mediorientale.

Inoltre e’ stato docente presso varie università italiane e straniere ed autore di molti libri.
Di particolare interesse le sue opere pittoriche, le incisioni e le ceramiche.
(Maurizio Biordi, Museo degli Sguardi)

scarica il libretto della mostra